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Sorride a chi vuole eliminare Saviano, ironizza su un uomo morto durante un fermo di polizia, incolpa le Ong per 117 morti in mare: in un Paese normale, in tempi normali, un politico non sopravvivrebbe a dichiarazioni del genere. Salvini le usa per guadagnare consenso. Il problema siamo noi, non lui

Dunque, nel giro di tre giorni Matteo Salvini ha sorriso a chi, ad Afragola, nelle terre della camorra – chiedeva a lui, ministro dell’interno, di “eliminare” Roberto Saviano, condannato a morte dalla camorra stessa e per questo protetto dallo Stato italiano. Poi, non pago, ha ironizzato sprezzante – «dovevano offrirgli cappuccio e brioche?» – sulla morte di un cittadino italiano di origine tunisina, deceduto per arresto cardiocircolatorio durante un fermo di polizia. Per finire, ha affermato che la colpa dei 117 migranti morti nella notte tra il 18 e il 19 dicembre scorsi sia da attribuire alle organizzazioni non governative che, in teoria, i migranti li salvano: «Sarà una coincidenza che da tre giorni c’è una nave di una Ong, proprietà olandese, equipaggio tedesco, che gira davanti alle coste della Libia? Ed è un caso che in questi giorni gli scafisti tornano a far partire barchini, barconi e gommoni mezzi sgonfi che poi affondano e poi si contano i morti e i feriti?».

Non facciamo le verginelle: che un politico in cerca di visibilità ci provi, con un po’ di frasi a effetto, a guadagnarsi un titolo in prima pagina, o a smarcarsi da una situazione difficile ci sta. Che magari la battuta gli esca male, pure. Che sia un conclamato gaffeur a cui escono male in serie, pure. Quel che non ci sta, è che quel politico veda incrementare il proprio consenso, al limite dell’idolatria, ogni volta dice cose del genere. Peggio: che quel politico dica tutto questo sapendo che il suo consenso crescerà, anziché diminuire. Che il disprezzo per i nemici della camorra, per gli stranieri, per chi si occupa di dare la propria solidarietà agli ultimi dei pianeta paghi a livello elettorale. Ancora peggio: che tutto questo basti a coprire gli insuccessi e le promesse mancate della Lega, a partire dalla strombazzata abolizione della Legge Fornero, diventato un blando anticipo pensionistico con penalizzazione.

La risposta è una sola, alla fine. Che è nato prima il consenso per le politiche salviniane, e solo dopo Salvini. Che il leader leghista sia stato il primo e il più abile a intestarsi un’agenda politica che era lì per il primo che l’avesse raccolta. Che se non fosse lui, se un giorno non sarà più lui, quell’agenda, quel consenso, quell’egemonia culturale rimarrebbero lì, per qualcuno come lui, o ancora peggio di lui

Questo non assolve Salvini: se sa cosa sta solleticando, e se ha un minimo di immaginazione per capire dove rischia di portarci, non dovrebbe dormirci la notte. Non assolve Salvini, ma nemmeno noi – intesi come quei cittadini che stanno per tributare al Capitano leghista un consenso stellare alle prossime elezioni europee. Perché questo tipo di offerta politica sottende una domanda che la precede. Una domanda fatta di gente che indosserebbe il suo ghigno migliore se Saviano venisse ucciso dalla Camorra. Che a precisa domanda, “meglio i migranti in Italia o in fondo al mare?”, risponderebbe in fondo al mare, senza esitazioni. Che godrebbe al pensiero della polizia che comincia a usare seriamente le mani e le manette, come in Russia o nel Sudamerica dei tempi d’oro, contro agli individui “antisociali”.

Quella domanda, oggi, vale il 30% dei consensi, a salire. Non è un caso, infatti, che i Cinque Stelle lo inseguano a destra, senza mezza remora. Che lo stesso facciano Berlusconi, Meloni e pure quel pezzettino del Pd per cui il nemico è sempre comunque il Movimento di Grillo e Casaleggio e che di certo non si mette a fare opposizione radicale alle istanze leghiste. Che chi vi si oppone in modo radicale non riesca a raggranellare mezzo voto in più, facendolo. Che non ci sia insuccesso o scandalo – i 49 milioni da restituire a causa di una truffa allo Stato, le spese pazze in Regione Lombardia – in grado di minarne il consenso.

La risposta è una sola, alla fine. Che è nato prima il consenso per le politiche salviniane, e solo dopo Salvini. Che il leader leghista sia stato il primo e il più abile a intestarsi un’agenda politica che era lì per il primo che l’avesse raccolta. Che se non fosse lui, se un giorno non sarà più lui, quell’agenda, quel consenso, quell’egemonia culturale rimarrebbero lì, per qualcuno come lui, o ancora peggio di lui. Che tutto quel che vediamo in Salvini, in qualche misura, ci rappresenta e ci definisce, come popolo. Che non potremo dire, di fronte al tribunale della Storia, di essere stati plagiati da un grande affabulatore. No, anime belle: Salvini l’abbiamo evocato. E buttarlo giù, se e quando mai accadrà, non risolverà un bel nulla. A meno che non si cambi la testa a un intero Paese, o quasi.

Sorgente: Salvini sarà pure un mostro, ma gli italiani sono peggio di lui – Linkiesta.it

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