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L’attesa di un salvifico imminente collasso del Governo. L’illusione che in fondo non sia successo nulla. La realtà di una manovra sbagliata che però costruisce consenso

alphaspirit via Getty Images

Fosse, questa paralisi, frutto di incompetenza, sarebbe quasi comprensibile. La verità è peggiore. La classe dirigente dell’opposizione è ferma perché vittima di una grande illusione: che in fondo non sia successo nulla. Pensa ancora di avere tutte le ragioni dalla sua parte, pensa che il governo, nato fragile, incompetente, diviso, sia già sulla strada della dissoluzione. L’ex segretario Matteo Renzi, voce di punta di queste convinzioni, in una intervista alla Stampa ha fornito addirittura anche il calendario della conclusione del governo: “andrà in pezzi nei primi mesi dell’anno, prima delle elezioni europee”.

Basta dunque aspettare, cari Democratici, e poi tutto tornerà a posto. Facile, consolatoria, è una previsione che scalda i cuori. La più bella delle molte favole che paralizzano oggi la rinascita della sinistra.

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Va detto che l’idea della fragilità del governo è oggi tutt’altro che una fissa solitaria della sinistra.

E’ condivisa dalla ex Leu, dal Pd, da Forza Italia, ma anche dalla maggior parte delle istituzioni economiche del paese, e soprattutto sembra esserne molto certa l’Europa che pensa (sia pur con un residuo di ansia) di aver tutto sommato domato gli spiriti ribelli del sovranismo italiano. Come tale è una opinione che viene ampiamente riflessa anche nei maggiori media.

Questo giudizio comune si è venuto costruendo intorno alla vicenda della legge finanziaria. Una misura che, senza dubbio alcuno, è stata concepita male, presentata peggio, difesa con arroganza e vigliaccheria insieme, e approvata infine nello scandalo di un Parlamento bypassato del tutto. Senza dubbio appaiono credibili le previsioni sull’impatto economico devastante che potrà avere nel prossimo futuro una manovra che, come ormai si ripete, “punta molto sulla spesa e poco sugli investimenti“. Diventando uno strumento, speriamo involontario (o no? La questione della provocazione all’Europa rimane sempre un dubbio come una nube su questo governo) di una precipitazione dell’Italia verso la recessione. Infatti fin da ora, si fa notare, le principali istituzioni di rappresentanza economiche del paese, da Confindustria a sindacati, sono sul piede di guerra.

Che da tale, giusta, analisi si ricavi l’idea che il Governo sia votato al fallimento, appare logico. Eppure al momento gli indicatori ci dicono che la coalizione gode ancora di buona salute.

Ci sono in particolare due indagini che vorrei qui citare per la loro credibilità. Sono due indagini pubblicate dal quotidiano La Repubblica, certo non imputabile di simpatie governative, entrambe commentate da due studiosi di reputazione, nessuno dei quali sospettabile di vicinanza ai gialloverdi .

Il 24 dicembre sulla prima pagina di Repubblica un titolo a doppio: “Sondaggio: l’Italia cambia rotta, ora cresce la fiducia nello stato”. Una ricerca Demos indica una crescita nei confronti delle istituzioni tutte , incluso il Parlamento, la cui fiducia è salita di 8 punti, e lo Stato, +10.

Siamo in piena bagarre intorno alla finanziaria eppure il quotidiano diretto da Mario Calabresi scrive a firma di Ilvo Diamanti un commento dall’esplicito titolo “Se il motore della svolta è gialloverde”:

Si coglie un clima diverso, nel Paese, nei confronti delle istituzioni. Più positivo. Una tendenza che ha origine nella svolta politica avvenuta in marzo, alle elezioni politiche. Quando si sono affermati il M5s e la Lega. I due partiti che, più degli altri, nel recente passato, avevano intercettato e alimentato l’insoddisfazione verso la democrazia e i principali partiti della Seconda Repubblica. PD e FI. E poi, appunto, il Parlamento, lo stesso Presidente della Repubblica. Oggi, i “nuovi” attori della “nuova” stagione politica sono al governo. E il loro atteggiamento nei confronti delle istituzioni, che prima contestavano, è cambiato. La sfiducia si è trasformata in fiducia. Verso lo Stato. Perché “lo Stato siamo noi”, ha ripetuto Di Maio in più occasioni. Verso il Parlamento, per quanto ai margini, nell’approvazione della Legge di bilancio. E verso l’Unione Europea, con la quale, dopo mesi di conflitti, si è trovato un accordo. Così, gli elettori di Lega e M5s , in precedenza “attori della sfiducia”, oggi sono divenuti i “motori della fiducia”. O almeno della “non-sfiducia”.

5 stelle e Lega sono dunque attori di ricostruzione di fiducia nello Stato. Novità assoluta. Cambio di marcia appunto.

Sempre sullo stesso quotidiano, pochi giorni prima, il 19 dicembre, il professor Piero Ignazi, scrive un commento a dati Swg, sotto il titolo “La sinistra che abita nei 5 Stelle” in cui spiega che il Movimento guidato da Di Maio viene visto dal 50 per cento dei suoi elettori come sinistra, soprattutto perché “viene associato a temi sociali come il reddito di cittadinanza, non più al “vaffa”. Ed è per questa misura che gli ex elettori Pd, non sentendosi più rappresentati, si sono orientati in massa verso i grillini”.

Ora, vi sembrano questi i numeri di una crisi della coalizione? Anche mettendo in conto la possibilità che alla fine risultati negativi della finanziaria possano modificare queste opinioni, per ora sono i numeri di un allargamento di consenso proprio legato alla finanziaria .

Che vogliamo fare di questo consenso? Considerarlo trascurabile solo perché non va bene con le valutazioni della maggioranza degli opinionisti sullo stato del paese, o prenderlo in considerazione?

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Una delle possibili spiegazioni di questa distanza fra il giudizio ( negativo) degli addetti ai lavori sulla finanziaria e il giudizio (positivo) della maggioranza dei cittadini, è nel tipo di valutazioni adottate.

Le valutazioni istituzionali sono fondate su un eccesso di “economicismo”, cioè di attenzione quasi esclusiva ai dati economici. Evitano di guardare anche alla lettura “emotiva” della sua costruzione. Dimenticano cioè di mettere in conto che una manovra economica non è solo una distribuzione materiale di risorse, ma soprattutto una indicazione delle priorità sociali, del valore che viene dato a chi si aiuta o no, un disegno del tipo di società che si vuole onorare o costruire. Insomma è alla fine un vero e proprio manifesto ideologico.

Questo vale per tutte le finanziarie, ma per anni il quadro di riferimento delle nostre società industriali è rimasto lo stesso, con identici valori sociali e produttivi: innovazione, investimenti strutturali, politiche del lavoro bilanciate fra costo e flessibilità del lavoro, educazione, welfare.

Questa manovra ha scompaginato questa scala, perché un Governo di rottura ne ha costruito una di rottura. Nel nome della battaglia contro le elite. Questa finanziaria, che toglie infatti a una buona parte della classe media denaro fresco e risorse future (dalle pensioni, alle tasse, agli investimenti in strutture, agli aiuti di Stato) e promette di dare a un sud e a una parte di popolo che si sente (ed è) abbandonato, agli imprenditori che vivono lo Stato come un ostacolo e il cambiamento come un nemico, è stata venduta dal Governo come la prova che finalmente una nuova classe politica può trasferire ricchezza da un ceto di privilegiati e un ceto che non ne ha.

In senso economico stretto queste scelte sono rischiose, ma per l’elettorato gialloverde è tutto quel che vogliono. E’ tutto quel che serve per cantare vittoria.

Il trasferimento di interesse e ricchezze è l’elemento emotivo, immateriale, di un senso di giustizia a lungo negato e infine ricevuto, la forza della finanziaria appena chiusa. Non a caso i 5 stelle pedalano e rilanciano la loro lotta contro i privilegiati, come nel video appena fatto da Di Battista e Di Maio. E non a caso Salvini interpreta a volte fino al ridicolo la pelle dell’uomo comune, l’elettore alla base della piramide sociale.

Quello che conta davvero in questa finanziaria è proprio l’elemento “punizione”, o rivincita. Gli scalpi dei “privilegiati” che Lega e 5 stelle consegnano “agli ultimi” sono la vera ricompensa perché provano alla base che li ha votati che finalmente qualcuno ha fatto “giustizia”. Non a caso un tassello della approvazione della finanziaria è stata la approvazione di una legge sulla corruzione che promette pene più dure a corrotti e corruttori – la promessa realizzata di quella richiesta ad alta voce di “manette” che sale dal paese. Insieme alla richiesta di “sicurezza” che ne è sorella.

Succede così che anche a fronte di un disastro economico, il nuovo budget sia percepito dalla maggioranza dei cittadini, ci dicono i numeri, come il primo dono fatto al sentimento popolare anti elite su cui da tempo batte il motore dell’Italia, e non solo.

Elite il cui declino, come ha ricordato sul CorSera in un editoriale molto condivisibile Ernesto Galli Della Loggia, è tutt’altro che materia di fantasie o propaganda politica. Un declino globale in cui quello italiano si distingue, ricorda Galli Della Loggia, per la loro natura “chiusa, iperomogenea, e autoreferenziale”. Elite le cui caratteristiche sono l’anzianità, la scarsa presenza femminile, e la provenienza ideologica di centrosinistra (” caratterizzata da un perbenismo culturale di irritante quanto superficiale assennatezza”) . Il risultato di questa combinazione è “conformismo , carrierismo, ostilità a ogni cambiamento , riluttanza a prendere decisioni importanti e/o impopolari”. E alzi la mano chi non riconosce in queste definizioni un ritratto perfetto di quanto questo paese sia fermo, e non solo sul piano degli investimenti interni.

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Quello che si profila è, come si vede, un panorama denso di conflittualità. Molto più di quanto si ammetta. Con un paese diviso da un profondo rancore reciproco fra classi sociali e un governo che coscientemente cavalca e acuisce questa divisione. Ma è un conflitto del tutto specioso, provocato tutto ad arte dal sovranismo e giacobinismo della attuale coalizione di governo?

C’è una lunghezza d’onda nella crisi che si è aperta, una richiesta rabbiosa, caparbia, violenta al fondo, che non andrà più via dal nostro mondo. E’ figlia della fine di un modello produttivo, del globalismo, della nuova rivoluzione industriale; è figlia delle nuove tecnologie, della fine dei partiti tradizionali, della sinistra che si è fatta elite. E’ figlia di tutto quello che volete. Ma di sicuro non rimarrà senza risposta. Non andrà via e vorrà risposte. Non andrà via, nemmeno se questo governo dovesse cadere a giugno.

Nel bene e (piuttosto) nel male, questo governo si è intestato il merito di aver imbracciato questi temi, di averli rese pubblici. La sinistra che vuole tornare a contare nel gioco politico, e le cui primarie saranno il vero calcio di inizio del nuovo anno, può decidere a sua volta se entrare in questo panorama di scontro confrontandosi con queste richieste, con questi rancori, affrontandoli, e cambiando essa stessa.

O può decidere di trasformarsi, come finora è stata invitata a fare, in una popolazione di struzzi.

Sorgente: L’opposizione degli struzzi | L’Huffington Post

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