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Negli ultimi giorni si è sviluppata in Italia una polemica sul franco CFA. Secondo i critici, la Francia manterrebbe con una serie di paesi africani un rapporto di tipo coloniale e ciò avverrebbe con l’imposizione a questi paesi di una quasi unione monetaria, attraverso una moneta, il franco CFA, il cui cambio in origine era fissato rispetto al franco francese ed è oggi fissato rispetto all’euro. I critici argomentano che questo sistema toglie ai paesi africani la sovranità monetaria; essi fanno anche osservare che una parte delle riserve in valuta dei paesi membri deve essere depositata presso il tesoro francese, il che ne faciliterebbe il finanziamento. Per molti versi, la critica echeggia quella contro l’euro: come l’euro sarebbe uno strumento del dominio tedesco sull’Europa, così il franco CFA sarebbe lo strumento del dominio francese su una parte dell’Africa. Da parte di alcuni si è addirittura arrivati a sostenere che il franco CFA sarebbe responsabile del sottosviluppo dell’Africa sub sahariana e di conseguenza anche dei flussi migratori verso l’Europa.

Immigrazione e area del franco

Nazionalità dichiarate al momento dello sbarco

anno 2019 (aggiornato al 31 dicembre 2018)

Tunisia 5.181
Eritrea 3.320
Iraq 1.744
Sudan 1.619
Pakistan 1.589
Nigeria 1.250
Algeria 1.213
Costa d’Avorio 1.064
Mali 876
Guinea 810
altre* 4.704
Totale 23.370

*il dato potrebbe ricomprendere immigrati per i quali sono ancora in corso le attività di identificazione

Fonte: Dipartimento della Pubblica sicurezza

Partendo dall’ultima questione, quella dell’immigrazione, si osserva che nella tabella del Ministero degli Interni sugli sbarchi, aggiornata 31 dicembre 2018, solo due dei principali dieci paesi di provenienza dei migranti nel corso di tutto il 2018 fanno parte dell’area del franco CFA; si tratta della Costa d’Avorio e del Mali da cui provengono complessivamente 1.940 persone, che rappresentano l’8% delle 23.370 persone censite dal Ministero.

Va peraltro osservato che, con una popolazione di 163 milioni di abitanti, i 14 paesi dell’area rappresentano il 13% dell’intera popolazione africana (1,216 miliardi).

Appare dunque priva di fondamento la tesi secondo cui dall’area del franco CFA verrebbe la gran parte degli sbarchi sulle coste italiane.

Cos’è il franco CFA?

Nella sostanza economica, il franco CFA è un sistema di cambi fissi, ma aggiustabili, simile all’accordo di Bretton Woods, ma con alcune caratteristiche che ne rafforzano la credibilità: la principale fra queste è l’impegno della Francia ad intervenire illimitatamente a sostegno del franco CFA nel caso di attacchi speculativi.

Fino al 1945, la sigla CFA stava per “Colonies Francaises d’Afrique”, il che ovviamente rimandava all’origine coloniale del sistema. Successivamente, la sigla è stata usata per indicare due diverse aree geografiche che hanno due diverse valute: “Communauté Financière Africaine” negli stati che fanno parte dell’Union Economique et Monétaire Ouest-Africaine (Benin, Burkina Faso, Cote d’Ivoire, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo, con una popolazione di 113 milioni), e “Communauté Financière en Afrique Central” negli stati che fanno parte della Communauté Economique et Monétaire de l’Afrique Centrale (Ciad, Cameroon, Repubblica Centro-Africana, Congo, Guinea Equatoriale, Gabon, con una popolazione di 49 milioni). Le due valute non sono intercambiabili perché ognuna ha corso legale nell’area di pertinenza, ma sono legate da un cambio fisso, per cui circolano liberamente in entrambe le zone e spesso si parla di un’unica area del franco e di un’unica valuta, il franco CFA.

Il franco CFA aveva un cambio fisso, ma aggiustabile con il franco francese, che dal 1999 è diventato un cambio fisso, e ancora in linea di principio aggiustabile, con l’euro.

All’inizio, nel dicembre 1945, il cambio fu fissato a 0,58 franchi CFA per 1 franco francese; nell’ottobre del 1948, il franco CFA fu rivalutato a 0,50 franchi CFA per 1 franco francese. Nel 1994, vi una svalutazione del franco CFA del 50% e il nuovo tasso di cambio fu fissato a 100 franchi CFA per 1 (nuovo) franco francese. Nel 1999 il franco francese fu convertito in euro al cambio di 6,55957 franchi per 1 euro; il cambio del franco CFA fu di conseguenza fissato a 655,957 per 1 euro.

Cosa prevedono gli accordi fra la Francia e i paesi che adottano il franco CFA?

Fra il 1959 e il 1962, man mano che le ex colonie conquistavano la propria indipendenza, furono formalizzati degli accordi con la Francia che prevedono quattro punti chiave:

  • La Francia si impegna a sostenere il cambio fisso del franco CFA nei confronti del franco francese e, dal 1999, dell’euro.
  • La Francia si impegna a mantenere la convertibilità internazionale del franco CFA.
  • I movimenti di capitali all’interno dell’area monetaria sono liberi.
  • I paesi dell’area si impegnano a depositare presso un conto fruttifero della Banca di Francia almeno il 50% delle loro riserve.

Si noti la differenza fra questi accordi e un currency board del tipo di quello che fu attuato in Argentina negli anni ‘90. Qui c’è l’impegno del paese centrale del sistema, la Francia, ad intervenire illimitatamente a favore dei paesi dell’area, che è naturalmente una garanzia molto più forte di quella che può darsi unilateralmente un paese. Dal punto di vista della Francia, questo impegno rappresenta un rischio, più che un vantaggio, perché il sostegno può rivelarsi costoso. Il problema è diventato più serio da quando la Francia ha adottato l’euro, in quanto per sostenere il franco CFA la Francia deve vendere sul mercato euro, e non più una valuta, il franco, che essa stessa produceva.

Si stima che negli ultimi anni le riserve depositate presso la Banca di Francia siano state nell’ordine di 10 miliardi di euro. I detrattori del sistema sostengono che questi soldi potrebbero meglio essere utilizzati per progetti di sviluppo all’interno dei vari paesi.  Va però osservato che questi depositi sono remunerati ad un tasso superiore a quello di mercato e che la Banca di Francia non può utilizzare queste risorse per finanziare il tesoro francese. I paesi che aderiscono al sistema trovano vantaggiosa la condivisione delle riserve, essenzialmente perché garantisce loro la stabilità del cambio senza obbligarli a tenere un ammontare di riserve uguale alla base monetaria in circolazione. In sostanza, la garanzia offerta dalla Francia consente di comprare stabilità in cambio di un ammontare relativamente modesto di riserve in valuta.

L’adesione al sistema è volontaria.

Come è stato ripetuto più volte anche di recente dalle autorità francesi, l’adesione al sistema è volontaria. Peraltro, non tutte le ex-colonie francesi aderiscono al sistema. Per converso, vi aderiscono alcuni paesi che non sono ex colonie francesi come la Guinea Bissau, ex colonia portoghese, e la Guinea Equatoriale che è una ex colonia spagnola.  Fra il 1957 e il 1976, sono usciti dal sistema dieci paesi (tra cui il Marocco, la Tunisia, l’Algeria, la Guinea, il Mali, la Mauritania e il Madagascar). Fra il 1984 e il 1997 sono entrati, o rientrati, il Mali, la Guinea Equatoriale e la Guinea- Bissau.

I Paesi che hanno adottato il franco CFA possono svalutare

In generale i paesi dell’area cercano di evitare di svalutare il cambio in quanto ne vedono il vantaggio in termini di un tasso di inflazione che si mantiene – cosa rarissima fra i paesi in via di sviluppo – fra il 2 e il 3% all’anno. Ma non è vero che non possono svalutare. Come già accennato, nel 1994 vi fu una svalutazione del 50% del franco CFA rispetto al franco francese.

Vantaggi e svantaggi del franco CFA

Non vi è alcuna certezza che un regime di cambio fisso sia in generale migliore di un regime di cambi flessibili o comunque frequentemente modificabili. Come noto, il dibattito fra gli economisti su questo punto è assolutamente aperto: ogni sistema ha vantaggi e costi. Ciò che non ha alcun senso è affermare che il regime di cambio e la moneta siano strumenti per una sorta di colonizzazione della Francia ai danni di una parte dell’Africa. I 14 paesi che hanno adottato il franco CFA hanno ritenuto e tuttora mostrano di ritenere che i vantaggi in termini di stabilità finanziaria, di apertura commerciale e di integrazione economica siano più importanti dei vincoli imposti dalla difficoltà di svalutare la moneta.  Peraltro, ormai da molti anni, l’area dell’Africa occidentale (di gran lunga la più popolosa) ha realizzato tassi di crescita sistematicamente superiori al 6% all’anno. Meno buoni i risultati della area dell’Africa Centrale, che negli ultimi anni ha risentito negativamente della caduta del prezzo del petrolio.

Quando si parla di colonialismo pochi paesi europei sono esenti da colpe. E non c’è dubbio che ancor oggi ci sono relazioni che risentono dei vecchi regimi coloniali. Soprattutto, in Africa si intrecciano corposi interessi dei paesi europei, nonché di altre aree del mondo, in primis Stati Uniti e Cina, che trovano spesso un terreno fertile nella corruzione diffusa in molti paesi. Nessuno dunque si stupisce se si scoprono accordi o sistemi di relazioni che non fanno gli interessi delle popolazioni locali; sul punto vi è oramai una letteratura sterminata.

Gli accordi di cambio, di per sé, non c’entrano nulla con questa questione, anche se le critiche non mancano. Il punto chiave è quello che sottolineò l’allora Ministro delle Finanze francese Michel Sapin alla riunione del 30 settembre 2016 dei ministri dell’area del franco: “La Francia garantisce la stabilità del franco CFA. Questa non è la sua moneta e dipende dalla volontà degli Africani”.

Sorgente: Il franco CFA: un caso di neocolonialismo? – Europea

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