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Si delinea con maggiore chiarezza il risultato della trattativa sulla manovra fiscale tra il governo giallo-verde e la Commissione Europea.  

  • Quota 100 e reddito di cittadinanza perdono un paio di miliardi ciascuna (da 9 a 7,1 il secondo e da 6,7 a 3,9 il primo). L’escamotage per realizzare ciò sta in parte in un meccanismo secondo il quale si stima statisticamente che il 10-15 per cento degli aventi diritto rinunceranno e in parte spostando nel tempo l’attuazione. Entrambe le misure comunque non saranno nel maxi emendamento, dove ci saranno solo i fondi, e solo una volta approvata la legge di Bilancio arriveranno i decreti attuativi. Inoltre di questi, 2 miliardi saranno congelati come clausola di salvaguardia, per cui a luglio essi potrebbero essere distolti da reddito e pensioni se i conti non torneranno e usati per abbattere ulteriormente il deficit.  
  • Circa due miliardi tra dismissioni immobiliari (un miliardo) e incentivi ai Comuni che cambiano la destinazione d’uso degli immobili. Molte le perplessità sulla possibilità di attuare un piano di dismissioni così vasto in breve tempo, dove hanno fallito tutti i governi precedenti. A parte il delitto di vendere beni pubblici che sono stati realizzati coi sacrifici delle generazioni di lavoratori precedenti, delle due l’una: o si realizza poco, o per fare tanto e in fretta si deve svendere, a tutto beneficio degli squali privati. 
  • Sugli investimenti, rispetto alla prima versione della legge di Bilancio, vengono tagliati 3 miliardi, sotto forma di “rimodulazioni” (spostamento in avanti degli stanziamenti). A farne le spese sono le Ferrovie (600 milioni), il co-finanziamento dei fondi Ue e il fondo di sviluppo e coesione, 150 milioni dalle imposte pagate dai nuovi assunti nei centri per l’impiego e altri 100 ottenuti dal congelamento delle assunzioni a tempo intederminato fino al 15 novembre nella pubblica amministrazione (esclusi enti locali). 

In ogni caso la manovra resta sotto sorveglianza. Come indica la lettera con cui Juncker ha risposto a quella di Conte (la famosa lettera di “Babbo natale” di Salvini), la Commissione verificherà che «la manovra approvata in Parlamento rispecchi» quanto concordato. Poi a maggio si rifaranno i conti, con lo spettro dell’infrazione Ue sempre pronta a scattare. 

Dal lato delle maggiori entrate si prevede una nuova stretta sui giochi da 450 milioni l’anno e una nuova fase di spending review. 

Si è parlato inoltre della tanto attesa digital tax, la tanto attesa tassa sulle transazioni elettroniche. Per diventare operativa si dovrà attendere le regole attuative dei ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico, delle Authority per le comunicazioni e per la Privacy e dell’Agenzia dell’Italia digitale entro 4 mesi. Quindi tempi lungi e risultato incerto. Per cui gli spettri della tagliola europea sono più probabili di quanto si creda. 

Inoltre, si scarica tutto ulteriormente sul futuro, come hanno fatto i precedenti governi che si lascano in eredità l’uno con l’altro la patata più bollente, ossia evitare l’incremento dell’IVA. A questo proposito si rischia una stangata da 20 mld nel 2020. Le clausole di salvaguardia (relative all’IVA e accise sui carburanti) passano infatti per il 2020 dalla attuale e prevista cifra di 13,7 miliardi a 23,1 miliardi e nel addirittura nel 2021 da 15,6 a 28,7 miliardi.  

La crescita prevista per 2019 passa nelle stime del governo dall’1,5% all’1%, quindi si riconosce che il tanto sbandierato “effetto espansivo” della manovra sarà assai limitato. 

Nota altamente negativa a latere della manovra invece due provvedimenti, uno preso e uno non preso. 

Il provvedimento preso riguarda la soglia di affidamento diretto degli appalti per i Comuni che passerà da 40 mila a 200 mila euro. I sindaci potranno assegnare lavori e forniture per importi fino a 200 mila euro senza bisogno di gare e motivazioni. Questa soglia farà sì che il 70 per cento delle commesse sono sottratte alla trasparenza. Sarà fonte di “snellimento amministrativo” o brodo di coltura per ulteriore malaffare pubblico-privato? La nostra memoria storica dà una risposta univoca a questa domanda. 

Provvedimento non preso: si rinuncia a riscuotere i 4 miliardi di Ici arretrata della chiesa, come imposto dalla Corte di Giustizia UE. Gli incassi sarebbero finiti ai Comuni che avrebbero potuto assolvere un po’ meno alla loro funzione di drenaggio fiscale e dedicarsi un po’ alle loro funzioni al servizio dello stato sociale.  

Quindi ai Comuni, anziché dare autonomia amministrativa rimpinguando i loro bilanci ma stringendo i controlli, tutt’al contrario, dopo che si sono tagliati i fondi, si dà una licenza di agire, senza controlli amministrativi, cosa che non potrà che scaricarsi alla fine sui contenziosi giudiziari. 

Nota positiva, ma del resto del tutto scontata, lo scomputo dal deficit di 0,2 punti di Pil per interventi di messa in sicurezza di infrastrutture e contro il dissesto idrogeologico, cosa di cui l’Italia avrebbe molta più necessità. Ma se quella strada era allora percorribile – ci chiediamo – perché non si è puntato molto di più lì, portando questa voce a livelli molto più alti? Magari tanti piccoli interventi di manutenzione pubblica, interventi dove il lavoro è tanto e i capitali sono pochi, con l’assunzione di tanti giovani operai e tecnici, al posto di mega opere inutili e dannose, poteva essere perseguita? Forse questa strada avrebbe potuto dare più lavoro (tanto) e meno elemosina (poca e incerta)? Certo non sarebbe la soluzione di tutti i problemi dei lavoratori, che ben sappiamo non potrà mai essere attuata in questa società basata sul profitto. Ma anche in queste cose si vede quanto il capitalismo non sia in grado di rispondere anche ai più elementari diritti dei cittadini: la sicurezza, quella vera. Quella per cui non ti caschino le scuole sulla testa, che non ti crollino i ponti dove sei costretto a passare per andare a lavoro, quella per cui la tua casa non venga trascinata via da una frana.

Sorgente: I frutti avvelenati della trattativa Stato-UE | La Riscossa

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