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Appena quattro voti di margine. La maggioranza che regge il governo si è fatta sempre più sottile a Palazzo Madama, che da sempre decreta la vita o la morte degli esecutivi

di Claudio Bozza

Appena quattro voti di margine. La maggioranza che regge il governo si è fatta sempre più sottile a Palazzo Madama, aula che da sempre decreta la vita o la morte degli esecutivi. E ora, dopo che il Movimento 5 Stelle ha espulso i due senatori Gregorio De Falco e Saverio De Bonis, gli alleati gialloverdi saranno costretti a procedere con la massima attenzione prima di sottoporre le riforme chiave al Parlamento.

Torna lo spettro del pallottoliere, e c’è chi già richiama il secondo governo Prodi, in attesa anche della «sentenza» dei probiviri del Movimento riguardo il destino delle altre due senatrici «ribelli», Paola Nugnes ed Elena Fattori. Rischiano, dicono fonti dei 5 Stelle, «se continuano a non tenere conto delle decisioni del gruppo». L’agenda dei lavori parlamentari prevede subito una ripartenza in salita: dopo la pausa natalizia si dovrà votare la legittima difesa, legge chiave per la Lega, ma che nell’ala sinistra M5S causa forti mal di pancia. E tra un mese toccherà all’autonomia, misura che innescherà la medesima dinamica politica. Ecco i numeri da tenere sott’occhio.

A Palazzo Madama la soglia per la maggioranza è a quota 161 senatori. I leghisti (58) e i pentastellati (107, dopo le due espulsioni di San Silvestro) hanno appunto 4 voti di vantaggio. E, nel caso in cui dovessero essere cacciate anche le due senatrici ancora «sub iudice», si arriverebbe a quota 163, appena due voti sopra il quorum. Quando nacque il governo, Giuseppe Conte poté contare su 171 voti di fiducia, ben 10 oltre la soglia necessaria. Perché ai leghisti e ai cinquestelle si aggiunsero quelli esterni di due ex M5S, Maurizio Buccarella («Continuerò a votare con questa maggioranza», afferma) e Carlo Martelli, espulsi sin dall’inizio legislatura, e quelli di due eletti all’estero del Maie. Voti che, a questo punto, potrebbero diventare decisivi. I conti A consultare la torta dei numeri di Camera e Senato, l’unica maggioranza possibile sembra essere quella attuale. Ma il problema si porrebbe nel momento in cui il governo dovesse andare sotto. «Maggioranze alternative non ce ne sono — assicura Massimiliano Romeo, capogruppo leghista al Senato —. Certo, i numeri si assottigliano e dovremo fare più attenzione negli iter parlamentari». Una maggioranza alternativa? La via sarebbe molto stretta anche se il centrodestra si riunisse in blocco. Sommando i seggi di Lega (58), Forza Italia (61) e Fratelli d’Italia (18) si arriverebbe a quota 137. Per la maggioranza mancherebbero ancora 24 voti.

Scenario diverso o a Montecitorio, dove la maggioranza formata da M5S (220), Lega (125) e Gruppo misto (7) raggiunge quota 352, con 36 voti di margine. Per il governo, in caso di emergenza al Senato, la stampella più semplice sarebbe quella di FdI, che conta 18 senatori. Ma per ora, il capogruppo frena: «Non c’è all’orizzonte nessuna operazione misteriosa», dice Luca Ciriani. Per un’ulteriore ipotesi, si dovrebbe guardare al Pd. Sommando i senatori di M5S (107) e quelli dem (52) si arriverebbe a quota 159, ma in quel caso non mancherebbe l’apporto dal Misto, dove i 14 seggi sono occupati in gran parte da eletti di Leu ed ex M5S. Ma, anche se ancora non si conosce l’esito delle primarie del Pd, i principali candidati, a cominciare da Maurizio Martina e Nicola Zingaretti, hanno già escluso l’alleanza con i 5 Stelle.

sorgente: corriere.it

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