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Facebook vede, ma non si fa vedere«Stiamo per raggiungere i migliori livelli di comunicazione che siamo in grado di raggiungere; le persone vogliono una messaggistica veloce, semplice, affidabile e riservata». Messa così, come la mette mr Facebook, sembra l’alba di un nuovo giorno nel paese dei Balocchi. In realtà le cose stanno alla rovescia: il nuovo giorno arriverà, questione di pochi mesi, in un Panopticon sempre più perfetto: tutti vedono tutti e qualcuno, non visto, vede chiunque. E provvede. Perché ormai è ufficiale, Facebook ha disatteso le premesse, e le promesse. Dietro la maschera della condivisione virtuosa si staglia un’altra maschera sotto la quale occulti, schizofrenici salottieri benpensanti filtrano tutto basandosi su target socio-economici standardizzati, fondati su ricchezza, benessere e cliché liberal.È impresa ardua, degna di un percorso di guerra pubblicare qualsiasi contenuto, perché Facebook cancella a sua discrezione, o meglio a proprio arbitrio, senza barlume di logica. L’ultimo caso di ordinaria follia vede protagonista l’animalista e attivista Daniela Martani, che si è vista bloccare per 30 giorni il proprio account per una foto del 2011 (perché gli zelanti controllori vanno anche a ritroso nel tempo) di bambini africani scheletrici, a testimoniare l’orrore della malnutrizione che colpisce i paesi più poveri. Una denuncia sociale è stata considerata inaccettabile; d’altra parte, permangono in tutta la loro virulenza immagini di torture, di violenza, di oppressione. È l’insondabile ambiguità di Facebook, che rende impresa degna di un aruspice capire cosa accadrà una volta inserito un qualsiasi contenuto sulla propria pagina.Inutile scervellarsi, siamo all’esoterismo da fondi di caffè: Facebook vaglia, censura, impedisce qualsiasi contenuto appena fa comodo e non, attenzione, sulla base di presupposti oggettivi quanto squisitamente arbitrari, ovvero improntati alla nuova dittatura morale e mentale del politicamente corretto: scritti, immagini fino alle manifestazioni artistiche più conosciute e riconoscibili, vengono rimossi senza spiegazioni e con la sospensione del servizio in capo all’artefice. La casistica è sconfinata e si amplia di giorno in giorno, raggiungendo dei colmi di totale irragionevolezza: succede che qualcuno venga bloccato in ragione di un cognome che a Facebook suona sospetto («Negro»), così come a chi scrive capitò di venire improvvisamente estromesso per il cognome che portava, giudicato offensivo nei confronti del pontefice cattolico (mi toccò buttare una settimana in proteste, ricorsi, fotocopie di documenti d’identità per dimostrare che io mi chiamo proprio così).Accade che un contenuto di denuncia di contenuti razzisti o minacciosi venga stoppato (con ciò raggiungendo il risultato opposto, soffocare la denuncia e lasciare intatto il contenuto offensivo). Accade pure che una ordinaria polemica tra utenti venga inibita con la punizione non del più aggressivo, ma di chi si difende. Facebook, si tratti dei famigerati algoritmi o di chi, a monte, li maneggia, non opera una selezione ragionata del contenuto: agisce secondo automatismi tutti suoi, fomentato da zelanti spioni.Ne esce una clamorosa contraddizione dei princìpi di libera espressione cui la piattaforma sostiene di ispirarsi. Non basta: ad aggiungere alienazione a frustrazione sta il fatto che i criteri, pomposamente ricondotti ad una «politica aziendale condivisa», sono, in realtà, del tutto aleatori, escatologici secondo la religione di Menlo Park: tutto è nelle mani di controllori che nessuno ha mai visto, al punto che si dubita persino della loro stessa esistenza. Insomma quella di Facebook è una misteriosa, esoterica democrazia. E con l’integrazione dei tre network – Facebook stesso, Messenger, Instagram in una piattaforma unica – il gioco sarà ancora più facile e pervasivo: perché i dati parziali che noi sparpagliamo sui vari network verranno assemblati in un unico, formidabile identikit totale. «Che social grandi che hai…». «Per controllarti meglio…».Cinquantuno anni fa Frank Zappa intitolò un suo celebre album We’re only in it for the money, siamo qui solo per i soldi; parafrasandolo, potremmo dire che siamo qui solo per far fare i soldi, in altre parole farci vendere come pacchetti di dati e di contenuti. Niente altro, niente di più.P.s. Sapete come è andata a finire la storia dei bambini africani censurata da Facebook? La Martani ha aperto un nuovo profilo, l’ha ripubblicata, questa volta «sponsorizzandola», ovvero pagando il social per diffondere il relativo contenuto in modo più efficace. Ebbene, in questo caso Facebook non ci ha trovato niente da obiettare, ha incassato e ha diffuso. E se a questo punto vi saltano in mente certe spericolate analogie, sappiate che l’associazione non è affatto casuale.

Sorgente: Facebook vede e registra tutto ma non si fa vedere da nessuno – ItaliaOggi.it

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