E per far quadrare i conti il governo fa scomparire mezzo milione di famiglie in povertà assoluta
DI VALENTINA CONTE
ROMA – Due miliardi su sei stanziati per il reddito di cittadinanza, un terzo del totale, andranno a due sole regioni: Campania e Sicilia. Se pure fosse vero – come ripete il vicepremier Luigi Di Maio – che i beneficiari si spalmano per metà al sud e per un’altra metà al centro-nord, i soldi si distribuiranno in modo asimmetrico e con un chiaro territorio a prevalere: 60% a favore del Mezzogiorno. L’assegno medio ritorna a 500 euro mensili. Ma solo perché dal computo sono sparite mezzo milione di famiglie povere. E senza un perché.
Dovevano essere 1,8 milioni quelle assistite dal sussidio, tante quante ne individua Istat in povertà assoluta. Sono scese a 1,3 milioni. Lo dice la relazione al decreto legge, inviata dal ministero del Lavoro alla Ragioneria. Una correzione in corsa, rispetto alle versioni precedenti e alle dichiarazioni del ministro Di Maio, di cui non si conosce il motivo tecnico. Ma che fa tornare i conti. Ora l’assegno medio guadagna terreno rispetto ai 390 euro mensili segnalati da Svimez e anticipati da Repubblica, ma contestati dal Blog delle Stelle.
L’accorgimento contabile consente di stare nella spesa. Come pure l’età per la pensione di cittadinanza portata a 67 anni da 65 che consente a Di Maio di affermare che “500 mila pensionati” incasseranno l’integrazione fino a 780 euro al mese (se single), su 5 milioni che vivono con assegni sotto quella cifra.
Il testo del decreto – non ancora definitivo – rivela poi altri dettagli sul reddito di cittadinanza. La prima offerta di lavoro, quella che Di Maio consiglia di accettare altrimenti possono scattare controlli visto che le altre sono meno convenienti perché più lontane, sarà entro 100 chilometri oppure “raggiungibile entro 100 minuti con i mezzi pubblici”. In una città come Roma significa quasi sotto casa. Il beneficio a chi assume in pianta stabile – da 5 a 18 mensilità di reddito – andrà solo alle imprese che segnalano i posti vacanti alla piattaforma digitale.
L’obbligo già esiste, ma è ignorato da vent’anni. D’altro canto senza offerte di lavoro sarà difficile giustificare l’assunzione di 10 mila nuovi addetti ai centri per l’impiego entro due anni. Fino a 4 mila a tempo indeterminato dalle Regioni – 160 milioni la spesa annua a regime – e 6 mila navigator da Anpal servizi con “incarichi di collaborazione” grazie a mezzo miliardo di euro stanziato: 200 milioni nel 2019, 250 milioni nel 2020 e 50 milioni nel 2021. Alla fine, tenuto conto di chi già vi lavora, gli operatori salirebbero a 18 mila.
Chi ne ha i requisiti potrà richiedere il reddito di cittadinanza dal quinto giorno di ogni mese. Si parte il 5 marzo con il primo incasso previsto per il 27 aprile. La somma – da un minimo di 40 euro a un massimo di 780 euro per un single a reddito zero e in affitto – sarà caricata sulla social card distribuita da Poste e va spesa tutta, altrimenti l’assegno del mese successivo cala del 10%.
La domanda può essere inoltrata online, alle Poste o ai Caf. Ai centri di assistenza fiscale vanno 20 milioni nel 2019, come sostegno per il maggior carico di lavoro. All’Inps 50 milioni all’anno per nuove assunzioni. Un milione all’anno perché Anpal Servizi riesca a stabilizzare i precari che già ha. Due milioni all’anno vengono invece previsti per “la comunicazione istituzionale” sul reddito di cittadinanza, dagli spot ad iniziative di lancio. Per la riforma dei centri per l’impiego, sottratti i soldi per navigator e affini, rimangono poco più di 500 milioni in due anni. Un quarto di quanto annunciato. Non è chiaro come e quando avverrà. E chi svilupperà le due piattaforme digitali previste.
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