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domenica 13 gennaio 2019 ore 16:44

Impegnato in una sua polemica politica, il vice presidente del Consiglio Di Maio ci ha fatto l’onore di citare Radio Popolare, ma un po’ a sproposito e con qualche allusione di troppo.

Parlando di fondi per l’emittenza ci ha inserito in una non meglio precisata categoria di “radio politiche”, che per questo prendono soldi pubblici. Ce ne fosse bisogno, ricordiamo che Radio Popolare, a differenza di altri, non è la radio di un partito.

Con le leggi passate, a Radio Popolare sarebbe stato sufficiente dichiararsi emittente che fa riferimento a un numero anche minimo di parlamentari, per accedere a notevoli contributi. Cosa che non abbiamo ovviamente mai fatto, a differenza di altre testate, anche insospettabili.

Le leggi le fanno e le cambiano i parlamenti. Noi ci limitiamo a verificare di avere realmente le carte in regola per accedervi, senza trucchi: Radio Popolare accede al fondo per le emittenti locali – TV e radio – commerciali e comunitarie, previsto nella Legge di Stabilitá 2016. I contributi eventualmente riconosciuti dipendono dai parametri previsti: raccolta pubblicitaria e soprattutto numero di dipendenti, che a Radio Popolare sono quasi 40, di cui oltre 20 giornalisti.

Quanto ai “portafogli pieni” di cui parla Di Maio, Radio Popolare vive con stipendi semmai ridotti delle sue redattrici e redattori e, per circa il 60% del suo bilancio, delle sottoscrizioni e abbonamenti che ascoltatrici e ascoltatori decidono ogni anno, liberamente, di fare.

Sorgente: Di Maio, Radio Popolare e fondi per l’emittenza

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