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Il premier conferma il Consiglio dei ministri di oggi: «C’è l’intesa sul decretone, risolti i nodi tra Lega e M5S». E sul referendum propositivo: «È la garanzia che ai cittadini sarà dato maggiore spazio per fare sentire la propria voce»

In una saletta dell’aeroporto di N’Djamena, dopo due giorni di visite e incontri tra Ciad e Niger, «ormai i confini meridionali dell’Europa», il presidente del Consiglio Giuseppe Conte riflette sulle emergenze internazionali, dalla crisi in Libia alla Brexit, per poi planare sui problemi di casa nostra. Primi fra tutti la Tav e il rischio recessione.

In un momento difficile per il suo governo, alle prese con il «decretone», perché ha ritenuto opportuno volare in Africa?

«Perché sia il Niger sia il Ciad hanno un rilievo strategico per i nostri interessi nazionali, è un’area in cui si concentrano minacce terroristiche insidiose, anche per noi europei, e soprattutto sono Paesi di transito dei flussi migratori, che svolgono un ruolo chiave per il contrasto dei traffici di vite umane che alimentano gli sbarchi verso le nostre coste. Se si vuole davvero gestire il fenomeno migratorio e non subirlo, bisogna partire da qui».

Cosa le hanno chiesto i leader di questi due Paesi?

«Quello che chiedono è proprio di non essere lasciati soli nel contrasto ai trafficanti e ai gruppi terroristici».

Prevede un aumento del contingente?

«Nell’accordo con il Niger è già prevista la possibilità di incrementare le nostre unità. Ma non dobbiamo necessariamente pensare a incrementare il contingente esistente. Conviene privilegiare formule flessibili, pensando anche ad attività di mentoring specifiche e per periodi brevi».

Sembra intanto che Isis stia rialzando la testa in Libia, mentre il governo di Tripoli è sempre più diviso e i vicepresidenti di fatto hanno sfiduciato Sarraj. Palermo è già un ricordo?

«Non mi sono mai illuso che la conferenza di Palermo potesse offrire una soluzione definitiva: Non mi sono mai illuso che la conferenza di Palermo potesse offrire una soluzione definitiva a suo tempo ho detto che la comunità internazionale e noi per primi avevamo l’obbligo di attivarci per evitare una possibile escalation del conflitto armato».

Cosa può fare l’Italia?

«Contribuire a creare una pressione internazionale sotto la guida delle Nazioni Unite, senza eccessi di protagonismo che sarebbero a loro volta destabilizzanti e dannosi. E io personalmente premo tanto verso gli attori libici perché siano consapevoli delle responsabilità che hanno di fronte al loro popolo, che chiede solo stabilità e benessere. Sono i libici che devono trovare una soluzione nell’interesse dei loro cittadini».

Dal Niger al Ciad fino alla Libia andiamo in territori dove è forte l’influenza francese. Pensa ci possa essere un contrasto tra interessi nazionali italiani e francesi in Africa?

«La nostra politica esclude qualsiasi pretesa egemonica o neocolonialista ed è caratterizzata da un approccio inclusivo. Credo sarebbe sbagliato per i paesi europei esibire una competizione ai danni del continente africano. Lo sviluppo dell’Africa riguarda tutta l’Europa ed è anche dai Paesi che ho visitato che passa la soluzione ai problemi dell’immigrazione».

Intanto a Londra si dibatte sulla Brexit. Prevede un nuovo referendum? Ha timori per la stabilità?

«Da europeo non era questo l’esito che si poteva auspicare: crea grande incertezza e suscita preoccupazione. L’Italia aveva recitato un ruolo importante nella definizione dell’accordo ora respinto dal Parlamento inglese. L’avevamo fatto anche perché un esito ordinato ci avrebbe messo al riparo dall’incertezza dei mercati e per tutelare appieno i nostri interessi nazionali, a partire dai diritti dei cittadini italiani residenti in Gran Bretagna e dalla protezione delle nostre eccellenze alimentari. Cosa che continueremo a fare anche nell’attuale scenario. All’ultimo Consiglio europeo di dicembre scorso, quando parlammo di Brexit, sollecitai tutti a lavorare anche alla prospettiva del “no deal” per non rimanere impreparati. Una prospettiva che ora, purtroppo, si fa molto concreta».

Domani (oggi per chi legge) approverete il decreto simbolo del vostro governo, quello su quota 100 e Reddito. Conferma l’appuntamento?

«Sì, sarà un giorno importante: approveremo le misure più qualificanti dal punto di vista politico e sociale della nostra attività di governo».

In Italia è elevatissima la percentuale di furbetti dell’Isee. Non crede che legioni di precari e autonomi possano continuare a lavorare in nero e prendere il sussidio?

«Questa riforma contiene contromisure adeguate. E in fase attuativa saremo molto vigili contro i furbi che pensano di poter abusare di questa misura».

Ma lo Stato italiano è in grado di capire chi imbroglia?

«Abbiamo predisposto strumenti di controllo in modo da poter incrociare le banche dati e di permettere all’Inps e alla Guardia di Finanza di fare tutte le verifiche sulle dichiarazioni Isee. Abbiamo predisposto strumenti di controllo in modo da poter incrociare le banche dati e di permettere all’Inps e alla Guardia di Finanza di fare tutte le verifiche sulle dichiarazioni Isee Sono fiducioso che le misure saranno efficaci per contrastare gli abusi».

Lei sottovaluta l’inventiva degli italiani…

«E lei sottovaluta il fatto che abbiamo previsto il carcere fino a 6 anni per chi fornisce dati falsi o continua a lavorare in nero. Mi sembra una pena sufficiente a scoraggiare qualsiasi furbetto».

Dovrete coinvolgere le agenzie del lavoro, i navigator, le regioni, l’Inps… davvero pensa che riuscirete ad erogare i primi sussidi ad aprile?

«Stiamo lavorando proprio per questo. E’ chiaro che è una road map con tempi molto stringenti e un percorso serrato, ma abbiamo già iniziato a lavorare per l’attuazione del provvedimento e farci trovare pronti».

Con la Lega c’è stato un serio problema sui fondi per gli inabili e gli invalidi, tanto che Salvini ha minacciato di non votare il decreto. Avete risolto?

«Abbiano trovato un punto di convergenza su una soluzione condivisa. Chi ha un familiare disabile a carico non sarà costretto ad accettare un lavoro che ricada in un raggio sopra i 250 km dalla propria abitazione per non perdere il sussidio e, in caso si decidesse comunque di non rinunciare alla proposta lavorativa, si avrà diritto a un incentivo di un anno: 12 mesi di reddito di cittadinanza garantito. Poi stiamo parlando di un decreto legge, vedremo se nel corso del dibattito parlamentare ci sarà la necessità di ulteriori affinamenti».

Intanto l’Italia rischia di finire in recessione, il ministro Tria ammette la «tagnazione». Siete pronti a contromisure, fino a una manovra correttiva se il deficit finisse fuori controllo?

«Prima delle contromisure vengono le misure. Anche quelle a cui sto lavorando, come il decreto sulla cabina di regia InvestItalia e quello sulla struttura tecnica per rafforzare la capacità progettuale della pubblica amministrazione. Lavoreremo anche ai tagli di spesa. La congiuntura internazionale non è favorevole certo – il rallentamento non riguarda solo Francia, Germania o Italia, ma si registra anche in Cina – e valuteremo l’impatto che avrà. Ma è prematuro fasciarci la testa, parlare adesso di manovre correttive. Ora dobbiamo spingere sugli investimenti che avranno un effetto positivo sulla crescita. Faremo ripartire il Paese».

È arrivata in aula alla Camera la prima riforma costituzionale del governo giallo-verde: la proposta di modificare l’articolo 71 della Costituzione, con l’introduzione del referendum propositivo. In commissione avete accettato di introdurre il quorum al 25% ma i costituzionalisti segnalano anche il pericolo di contrapporre nelle urne la proposta referendaria a quella parlamentare. Non pensa che il Parlamento venga completamente delegittimato?

«La crisi della rappresentanza è un fenomeno ormai diffuso in tutte le democrazie parlamentari. Il referendum propositivo è la garanzia che ai cittadini sarà dato maggiore spazio per far sentire la propria voce. I parlamentari saranno stimolati a raccogliere le istanze e a mantenere un più stretto raccordo con la società civile Chiudere gli occhi di fronte alla realtà non è la soluzione migliore. Delle sane “iniezioni” di democrazia diretta, al contrario, possono rafforzare la democrazia rappresentativa, non delegittimarla. Il referendum propositivo è la garanzia che ai cittadini sarà dato maggiore spazio per far sentire la propria voce. I parlamentari saranno stimolati a raccogliere le istanze e a mantenere un più stretto raccordo con la società civile».

Per la seconda volta in 60 giorni gli italiani sono scesi in piazza a Torino a favore della Tav. Pensa sia possibile arrivare a un compromesso che salvi l’opera?

«Adesso abbiamo la bozza dell’analisi costi-benefici, a questa si accompagnerà anche una valutazione legale per completare gli elementi a nostra disposizione. Poi renderemo accessibili a tutti questi risultati. La valutazione politica deve essere complessiva, dovendo ricondurre in unità gli esiti di queste valutazioni tecniche, economiche, sociali, legali».

Negli ultimi giorni si è affacciata l’idea di un compromesso che salvi l’opera, magari riducendo i costi. Andrà a finire così?

«Un compromesso, come dice lei, un progetto alternativo, in questo momento non è sul tavolo. Stiamo completando l’analisi costi-benefici sul progetto esistente. Se nel frattempo dovesse emergere un’alternativa progettuale, purché concreta e spendibile, potrà essere oggetto di una ulteriore e distinta valutazione».

Lei è presidente del Consiglio ma anche giurista: ci sono state molte critiche su quei video dei suoi ministri in cui il prigioniero Battisti viene ostentato come un trofeo. Da avvocato che effetto le ha fatto?

«Al signor Battisti è stato riconosciuto il trattamento e sono state riservate tutte le garanzie che spettano a un ogni condannato con sentenza passata in giudicato, come è giusto che sia. Al signor Battisti è stato riconosciuto il trattamento e sono state riservate tutte le garanzie che spettano a un ogni condannato con sentenza passata in giudicato, come è giusto che sia Quanto al dibattito in corso, capisco anche le differenti sensibilità, ma come uomo di governo e come giurista mi sento più incline a riconoscere le ragioni e lo stato d’animo di tutte quelle persone che hanno avuto un familiare ucciso, ridotto sulla sedia a rotelle o gambizzato, e che in tutti questi anni al dolore dell’evento hanno dovuto affiancare la frustrazione di vedere il colpevole vivere, impunito, in una ostentata latitanza».

Sorgente: – La Stampa

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