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(Ansa)

Il sottosegretario Stefano Buffagni aveva avvertito il leader dei Cinque Stelle sul rischio di dover salvare le banche. Di Maio sapeva che Pd e Forza Italia lo avrebbero contestato

di Francesco Verderami

Conte salva Carige e i cocci sono di Di Maio. Dopo aver fallito la mediazione che si era intestato, il premier scarica su M5S i costi politici del decreto con cui mette al riparo la banca ligure, dettando la linea al leader dei Cinquestelle. E dire che l’altra sera in Consiglio dei ministri la delegazione grillina voleva chieder conto al capo del governo, che aveva preteso la «gestione diretta» del dossier ma non era riuscito a convincere i Malacalza a ricapitalizzare l’istituto: nel commissariamento di Carige da parte della Bce andava quindi compresa anche la sua inconcludente missione. Invece Conte è riuscito a ribaltare i ruoli, chiedendo il varo di un provvedimento «inevitabile» per scongiurare uno choc che «rischierebbe di generare una sfiducia di sistema». Lo impone a suo dire lo scenario del settore — eredità pesante del passato — con punte di crisi latenti, se è vero che alcune popolari versano in difficoltà «molto serie» e almeno tre importanti istituti lamentano un «sovrannumero di dipendenti». Così si è imposto, così — schiumava a notte fonda un autorevole grillino — «Conte ha portato Di Maio dove voleva». Sovvertendo la tesi del vice premier, e cioè che stavolta lo Stato non avrebbe messo «neppure un euro dei cittadini».

«La nemesi»

La ragion di Stato ha smentito i Cinquestelle e per loro è stata la fine dell’età dell’innocenza. Anche perché la riunione dell’esecutivo si è svolta nelle stesse modalità con cui agì il governo Renzi: anche allora per salvare le banche la riunione del Consiglio si svolse di sera; anche allora durò pochi minuti; e oggi come allora Conte ha messo in preventivo l’uso di soldi pubblici con l’utilizzo peraltro del fondo costituito da Gentiloni. Di Maio sapeva che l’indomani Pd e Forza Italia lo avrebbero accolto nel girone infernale del «così fan tutti». Così è stato. Né il vice premier poteva scaricare su altri una responsabilità che lo investe direttamente. Da mesi era stato avvertito, già a settembre Buffagni — durante una riunione — gli aveva spiegato fin nel dettaglio quanto sarebbe poi accaduto: il sottosegretario alla Presidenza temeva «la nemesi», temeva cioè che il «governo del popolo» dopo aver scritto una «finanziaria del popolo» fosse costretto — a ridosso delle Europee — a intervenire per salvare le banche più deboli esposte sui mercati. In tal caso la campagna elettorale, impostata sul reddito di cittadinanza, si sarebbe potuta trasformare in una via crucis sui bilanci dei banchieri.

«Una totale assurdità»

Non l’hanno voluto ascoltare e ora i Cinquestelle sono in difficoltà, in preda a un conflitto di personalità sdoppiata tra l’ambizione di somigliare ai «gilet gialli» e la rabbia di essere accostati ai «renziani». Non basta a Di Maio evocare una commissione d’inchiesta per risollevare la truppa, dove cova il malcontento verso il premier: «Non dovendo rispondere all’elettore, fa pagare noi». C’è un motivo quindi se nessun grillino ha voluto difendere Conte, accusato dal Pd di «conflitto d’interessi» sull’affaire Carige: «Una totale assurdità», ha risposto il presidente del Consiglio, che ha dovuto far da solo per scrollarsi i sospetti alimentati nella sua stessa maggioranza. Lì, dentro M5S, c’è il timore di essere rimasti impigliati in un gioco passato sopra le loro teste, tra tecnici della Bce e funzionari di Bankitalia che vanta propri uomini nel board dell’istituto ligure, con palazzo Chigi in prima linea e il ministro dell’Economia che da giorni non prendeva impegni perché «sono concentrato su Carige». I fantasmi sono un alibi per chi non intende fare «un bagno di realtà», come si sforzava di spiegare ieri Buffagni nel Movimento: «Piuttosto bisogna intervenire per tempo, così da gestire al meglio le cose. Tutto qui, calma». Ma dopo l’Ilva, la Tap, le trivelle, e con l’incubo della Tav, i grillini di Palazzo guardano Di Maio disorientati. Mentre Salvini plaude al decreto: «Sono orgoglioso. Un abbraccio ai genovesi». E un caro saluto ai cinquestelle…

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